Infatti, secondo Kumarappa, i modelli di sviluppo sono strettamente connessi con l'insorgenza delle guerre, per cui i pacifisti devono comprendere quanto sia illusorio voler arrestare i conflitti armati, limitandosi a denunciarne i crimini e le atrocità implicite, ma sia necessario soprattutto modificare i soggiacenti modelli di sviluppo economico che ingenerano violenze e guerre.
“L'economista di Gandhi” denuncia come l'industrializzazione forzata e i moderni processi di produzione siano insostenibili, anche da un punto di vista ecologico, giudicando negativamente il modello americano capitalista e l'impostazione economica sovietica che convergono, in realtà, nonostante l'opposizione della guerra fredda, verso uno stesso impianto di potere centralizzato e urbanizzato, che vede il proprio apice di negatività e di deterrenza militare nella corsa agli armamenti atomici, con cui le superpotenze si minacciano a vicenda. Kumarappa, negli studi di economia e nelle applicazioni teoriche e soprattutto pratiche degli stessi, rifiuta il modello produttivo imposto dal potere centrale che innesta dinamiche e meccanismi produttivi basati sul lavoro alienato dalla produzione in serie e su larga scala, ma, al contrario, sostiene la necessità di realizzare l'autonomia e l'indipendenza delle comunità, privilegiando le attività quotidiane di sostentamento e di produzione realizzate nei piccoli villaggi, per agevolare un'economia di condivisione, dove il commercio sia ridotto all'essenziale, preferendo il baratto e lo scambio in natura, incentivando così stili di vita sostenibili e sobri, improntati essenzialmente alla parsimonia e alla semplicità, nella realizzazione di contesti sociali basati sulla nonviolenza e su rapporti di fratellanza, collaborazione e solidarietà. Lo scontro, la belligeranza, la guerra si ingenerano a seguito della scarsità di risorse e alla detenzione dei mezzi economici e di produzione da parte del potere centralizzato. Il pensiero di Kumarappa esorcizza così lo spettro dei conflitti armati e delle violenze nei confronti di tutti gli esseri viventi, che devono invece orientarsi alla realizzazione di un'economia nonviolenta, di condivisione e di permanenza di tutti gli esseri umani sul pianeta terra, senza esclusioni ed emarginazioni, nelle comuni relazioni di pace e fratellanza, nella condivisione dei beni e nella comunione solidale tra risorse, mezzi e persone. Infatti, è risaputo che i conflitti armati globali sono causati dalla volontà di controllo di diversi Paesi sulle risorse energetiche petrolifere. Tali risorse sono limitate e l'economia basata esclusivamente su di esse ingenera guerre tra le nazioni. Dunque la vera soluzione dei conflitti internazionali è da ascrivere all'autosufficienza economica, a modelli di vita sostenibili, per il benessere di tutti, nel rispetto della qualità dell'esistenza di ogni popolazione e di ogni persona. La manipolazione mediatica menzognera da parte del potere imperialista soggioga le menti umane, per cui vengono giustificate azioni di guerra con il pretesto di salvare i popoli dai gioghi dei potenti, in primavere insurrezionali veicolate dai mass media all'Occidente che risponde con posizioni surrettizie infarcite di falsità e ipocrisie rispetto alla necessità dell'interventismo bellico. In realtà la controinformazione ha potuto circolare con analisi dettagliate rispetto alla vera causa delle guerre. È sempre necessario informare sugli orrori della guerra per vaccinare le menti ottenebrate dalle menzogne del potere massmediatico, proprio come fanno costantemente vari istituti di ricerca, riviste, siti, social network e associazioni di cittadini che credono nei valori della Pace, decostruendo le informazioni di massa e analizzando le situazioni e le vere fonti e cause di violenza, tramite la forza della verità, che denuncia la realtà di fatto: sussiste una volontà di spartizione e di controllo del pianeta da parte di potentati che detengono il controllo sulle risorse energetiche ed economiche e fomentano guerre con ipocriti pretesti surrettizi di salvezza di civili inermi dai “gioghi dei potenti”, come è successo con l’intervento armato in Iraq, in Jugoslavia, in Afghanistan, in Libia e in Siria.